1- Il grande tonno (2 6 6)
Il commissario Ildebrando Pizzetto si grattò la cicatrice a ipsilon sullo zigomo destro. Era destino: quella chiamava pioggia peggio di un meteorologo sadomaso. Di lì a poco si sarebbe scatenato il finimondo, lo sentiva. Inanellandosi ciocche della fluente barba ormai grigia pensò di nuovo a Charlotte.
Già. Charlotte fatta fuori con quattro rasoiate tra le scapole e poi giù lungo il filo della schiena. Tre a forma di ics, una a ipsilon. Sì, come la sua. XYXX. Un maniaco, probabilmente. Un matematico pazzo. O un genetista senza scrupoli. E comunque uno che ci godeva a firmare le sue vittime con incognite profonde un dito. All'ora canonica, tra mezzanotte e mezza e l'una meno un quarto di quel sabato notte, aveva sentenziato il medico legale. Poi il giorno dopo, la scomparsa del corpo. Lucas si era fatto fregare come un bambino, se l'era lasciata sfilare davanti agli occhi come fosse una sigaretta. Quel c o g l i o n e di Lucas. Diavolo, come poteva un corpo così, pur se cadavere, passare inosservato? Un corpo, tanto per dire, con due seni che in mezzo ci potevi pure spaccare le noci, due capezzoli che... Si scrollò dal dormiveglia. Il telefono. Era destino.
«Capo, sono...»
«Sì, Torrence, lo so. Lascia perdere i nomi. Piuttosto, che mi dici di Charlotte?»
«Che aveva un ***...» stava già per unire le braccia in un'O che neanche Giotto.
«Stupido! Chi frequentava... Quel Raùl, per esempio: che si sa di lui?»
«Che la notte del delitto stava a Copacabana.»
«Beato lui.»
Quella sera il commissario mangiò un vaso intero di tonno sott'olio infilandoci dentro tre dozzine di grissini. Alla fine leccò il fondo con la punta della lingua. Poi aprì i Dieci piccoli indiani alla pagina con l'orecchia piegata. 163. Tra poco avrebbe saputo chi... Il giudice Wargrave credeva ciecamente nel... Il telefono lo sorprese a metà della tredicesima riga di pagina 169. Ovviamente alla parola destino. Era...
«Capo, sono...»
«Scoperto niente?»
«Le impronte, capo. Sono di Raùl. E il liquido sem...»
«Lascia perdere il liquido.»
«Commissario, fiumi di liquido sabato notte a Copacabana! Le lenzuola...»
«Lascia stare, ti dico. Piuttosto...»
«Il negro che serve al Ritz, commissario. Quello sa tutto. Gli ha servito la cena alle nove e mezza precise. Pâté di capesante e gamberi. Ostriche allo champagne. Vol-au-vent...»
«Volovàn, stupido!»
«Ecco, quelli. Con polpa di granchio. Orata con crema ai ricci di mare. Hanno finito con una macedonia alla cuando calienta el sol. Il negro si ricorda ancora come lei succhiava le ostriche, come se... Capisce cosa voglio dire, commissario?»
«Sì, Torr... come hai detto che ti chiami?»
Mise giù la cornetta con un colpo che lo fece trasalire. Il tonno gli tornò indietro in un rigurgito acido. La cicatrice riprese a prudergli. Adesso gli sembrava di avere sullo zigomo un nido di vespe. Possibile? No, non c'era stato nessun cataclisma quel giorno, neanche una misera guazza prenotturna. E allora? Allora il commissario adesso comincia a vederci chiaro. La cicatrice gli vibra sullo zigomo destro proprio come la bacchetta di un rabdomante. Ma non chiama pioggia, né rugiada, né alcunché di acquatico o anche di appena umido. Anzi! Si agita unicamente per condurlo pian piano alla ragione, alla soluzione, per servirgli le risposte su un vassoio d'argento.
Perché ora ILdebrando Pizzetto vede finalmente chiaro davanti a sé. Raùl, la cena, quell'infuocato sabato notte a COpacabana.
Già. Non era difficile. La soluzione bisognava cercarla altrove. Là dove avevano sepolto il corpo, per esempio. Perché a questo punto era piuttosto facile. Quel corpo che sapeva di miele... quelle tette che... Così capì anche che la ricerca sarebbe stata lunga, lunghissima, forse senza fine. Era destino.
Ah, Charlotte...!
______________
pvt (è destino!)
Il commissario Ildebrando Pizzetto si grattò la cicatrice a ipsilon sullo zigomo destro. Era destino: quella chiamava pioggia peggio di un meteorologo sadomaso. Di lì a poco si sarebbe scatenato il finimondo, lo sentiva. Inanellandosi ciocche della fluente barba ormai grigia pensò di nuovo a Charlotte.
Già. Charlotte fatta fuori con quattro rasoiate tra le scapole e poi giù lungo il filo della schiena. Tre a forma di ics, una a ipsilon. Sì, come la sua. XYXX. Un maniaco, probabilmente. Un matematico pazzo. O un genetista senza scrupoli. E comunque uno che ci godeva a firmare le sue vittime con incognite profonde un dito. All'ora canonica, tra mezzanotte e mezza e l'una meno un quarto di quel sabato notte, aveva sentenziato il medico legale. Poi il giorno dopo, la scomparsa del corpo. Lucas si era fatto fregare come un bambino, se l'era lasciata sfilare davanti agli occhi come fosse una sigaretta. Quel c o g l i o n e di Lucas. Diavolo, come poteva un corpo così, pur se cadavere, passare inosservato? Un corpo, tanto per dire, con due seni che in mezzo ci potevi pure spaccare le noci, due capezzoli che... Si scrollò dal dormiveglia. Il telefono. Era destino.
«Capo, sono...»
«Sì, Torrence, lo so. Lascia perdere i nomi. Piuttosto, che mi dici di Charlotte?»
«Che aveva un ***...» stava già per unire le braccia in un'O che neanche Giotto.
«Stupido! Chi frequentava... Quel Raùl, per esempio: che si sa di lui?»
«Che la notte del delitto stava a Copacabana.»
«Beato lui.»
Quella sera il commissario mangiò un vaso intero di tonno sott'olio infilandoci dentro tre dozzine di grissini. Alla fine leccò il fondo con la punta della lingua. Poi aprì i Dieci piccoli indiani alla pagina con l'orecchia piegata. 163. Tra poco avrebbe saputo chi... Il giudice Wargrave credeva ciecamente nel... Il telefono lo sorprese a metà della tredicesima riga di pagina 169. Ovviamente alla parola destino. Era...
«Capo, sono...»
«Scoperto niente?»
«Le impronte, capo. Sono di Raùl. E il liquido sem...»
«Lascia perdere il liquido.»
«Commissario, fiumi di liquido sabato notte a Copacabana! Le lenzuola...»
«Lascia stare, ti dico. Piuttosto...»
«Il negro che serve al Ritz, commissario. Quello sa tutto. Gli ha servito la cena alle nove e mezza precise. Pâté di capesante e gamberi. Ostriche allo champagne. Vol-au-vent...»
«Volovàn, stupido!»
«Ecco, quelli. Con polpa di granchio. Orata con crema ai ricci di mare. Hanno finito con una macedonia alla cuando calienta el sol. Il negro si ricorda ancora come lei succhiava le ostriche, come se... Capisce cosa voglio dire, commissario?»
«Sì, Torr... come hai detto che ti chiami?»
Mise giù la cornetta con un colpo che lo fece trasalire. Il tonno gli tornò indietro in un rigurgito acido. La cicatrice riprese a prudergli. Adesso gli sembrava di avere sullo zigomo un nido di vespe. Possibile? No, non c'era stato nessun cataclisma quel giorno, neanche una misera guazza prenotturna. E allora? Allora il commissario adesso comincia a vederci chiaro. La cicatrice gli vibra sullo zigomo destro proprio come la bacchetta di un rabdomante. Ma non chiama pioggia, né rugiada, né alcunché di acquatico o anche di appena umido. Anzi! Si agita unicamente per condurlo pian piano alla ragione, alla soluzione, per servirgli le risposte su un vassoio d'argento.
Perché ora ILdebrando Pizzetto vede finalmente chiaro davanti a sé. Raùl, la cena, quell'infuocato sabato notte a COpacabana.
Già. Non era difficile. La soluzione bisognava cercarla altrove. Là dove avevano sepolto il corpo, per esempio. Perché a questo punto era piuttosto facile. Quel corpo che sapeva di miele... quelle tette che... Così capì anche che la ricerca sarebbe stata lunga, lunghissima, forse senza fine. Era destino.
Ah, Charlotte...!
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pvt (è destino!)